9 Aprile 2020

Ipotesi per Arcangelo

Tempo fa ho ipotizzato che l’Arcangelo Gabriele, un’opera realizzata da Licini nel 1919, non rappresenti, nonostante il titolo, una figura angelica: l’opera, semmai, sarebbe la raffigurazione di un suicidio, quello descritto da Giacomo Leopardi nel suo Bruto Minore (1).

Del resto non è documentato che il titolo Arcangelo Gabriele sia stato effettivamente dato da Licini a quel dipinto.

Tuttavia l’opera (che non risulta essere stata esposta dall’artista) è stata presente in molte mostre e pubblicazioni postume e, in queste occasioni, è stata indicata con il titolo di Arcangelo Gabriele (o, talvolta, Angelo Gabriele).

Anche nel caso di un’altra opera del 1919 – Arcangelo (2) – non risulta documentato che il titolo sia stato effettivamente dato dall’artista; e mi sembra che neppure questo dipinto rappresenti una figura angelica.

 

 

Osvaldo Licini, Arcangelo, 1919 (ripreso successivamente), olio su tela, 44 x 51 cm

(immagine tratta da Giuseppe Marchiori, I cieli segreti di Osvaldo Licini col catalogo generale delle opere, Alfieri, Venezia, 1968, pag. 119)

 

 

Nell’opera sono presenti due personaggi: uno fugge, l’altro sembra un antico soldato romano. La scena è rischiarata da un astro contornato da nuvole.

Il personaggio che fugge appare nudo.

 

Mi sono chiesto chi possa essere questo personaggio; la mia ipotesi è che si tratti di una figura descritta nel Vangelo secondo Marco, quella del giovanetto che fugge nella notte del Getsemani. Racconta Marco che, quando quella notte Gesù fu arrestato, “tutti fuggirono, abbandonandolo. Ma un ragazzo lo seguiva, avvolto solo in un lenzuolo. Lo prendono. E lui, sgusciando via dal lenzuolo, se la diede a gambe, nudo” (3).

 

Nel dipinto di Licini, il soldato potrebbe essere proprio uno di coloro ai quali il giovanetto riuscì a sfuggire; l’astro contornato da nuvole fa pensare a una luna piena (e, per l’appunto, l’episodio della notte del Getsemani avvenne durante il plenilunio collegato alla Pasqua ebraica); la particolare luce che illumina la scena del dipinto potrebbe essere dovuta non solo alla luna, ma anche alle torce dei soldati che erano andati ad arrestare Gesù.

 

Nel 1912, alcuni anni prima che Licini dipingesse questa opera, Gabriele D’Annunzio, in Contemplazione della morte, scrisse qualcosa a proposito del giovanetto che fugge: lo definì il “tredicesimo apostolo” (4).

Sempre nel 1912 anche Rudolf Steiner si soffermò su questa figura (5).

 

Qualche anno più tardi, a seguito di una ferita riportata durante la Prima guerra mondiale, Licini fu ricoverato all’ospedale militare di Firenze (venne dimesso nel corso del 1916).

Durante la degenza l’artista lesse con interesse il Vangelo (6). Si può ipotizzare che fosse stato colpito dall’episodio del giovanetto narrato nel Vangelo secondo Marco; e che, magari, fosse venuto anche a conoscenza di quanto detto da altri a questo riguardo.

Così, quando nel 1919 dipinse il cosiddetto Arcangelo, Licini rappresentò forse quel ragazzo.

 

Nel marzo del 1944 padre Antonio Giancamilli celebrò a Monte Vidon Corrado la sua prima messa; Licini, che conosceva Giancamilli da quando questi era un bambino, gli regalò con la moglie, per l’occasione, il libro dell’abate Giuseppe Ricciotti intitolato Vita di Gesù Cristo (7).

Nel libro l’abate Ricciotti si soffermava, tra l’altro, sull’episodio del giovanetto che fugge: a tale proposito citava proprio alcune delle parole scritte da D’Annunzio nel 1912 e concludeva ipotizzando, come anche altri studiosi, che quel giovanetto fosse lo stesso Marco (8).

 

Marco, nel suo Vangelo, avrebbe quindi narrato un episodio del quale egli stesso, da ragazzo, sarebbe stato parte.

 

Forse Licini, nel 1919, volle rappresentare proprio la fuga del giovane Marco: lo stesso Marco del quale, venti anni dopo, sarebbe tornato a occuparsi in un’altra opera, Il miracolo di San Marrr co (9).

 

Lorenzo Licini

 

 

 

(1) Si veda, al riguardo, il mio scritto intitolato Arcangelo Gabriele o Bruto? pubblicato tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it;

(2) E’ probabile che questa opera, come il citato Arcangelo Gabriele, sia stata successivamente ripresa in parte dall’artista;

(3) Evangelo secondo Marco, a cura di Jose Maria Gonzalez–Ruiz, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1973, pag. 232;

(4) Gabriele D’Annunzio, Contemplazione della morte, Fratelli Treves Editori, Milano, 1912, pag. 50;

(5) Nel 1912 Rudolf Steiner tenne a Basilea alcune conferenze sul Vangelo di Marco, poi raccolte in alcune pubblicazioni; si veda, tra le altre, Rudolf Steiner, I Vangeli, Parte quarta, Il Vangelo di Marco, Traduzione di Emmelina De Renzis, R. Carabba, Lanciano, 1932;

(6) Si legga, al riguardo, P. Antonio Giancamilli in Osvaldo Licini, a cura di Luigi Dania, Carlo Ferrari, Germano Vitali, Tipografia Cruciani, Servigliano, 1978;

(7) P. Antonio Giancamilli in Osvaldo Licini, cit.. Risale al 1941 la prima edizione della Vita di Gesù Cristo di Giuseppe Ricciotti;

(8) Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, quindicesima edizione, 1965, pag. 126;

(9) Per una mia lettura di questa opera di Licini del 1939 rimando allo scritto Il miracolo di San Marrr co pubblicato nel 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it; rimando invece al mio scritto intitolato Tre documenti finalmente ritrovati (pubblicato nel 2020 tra le notizie dello stesso sito) con riferimento al ritrovamento, presso l’Archivio Storico della Biennale di Venezia – ASAC, di due documenti riguardanti  Il miracolo di San Marrr co.