24 Agosto 2019

Una profondità ancora verde

Penso che l’interesse di Licini per il tema del “primordiale” fosse iniziato negli anni Dieci, forse in parte influenzato dalle idee dello scrittore francese Édouard Schuré che, in quegli anni, erano particolarmente diffuse (1).

Anche Filippo Tommaso Marinetti (2) e Dino Campana (3) – due riferimenti molto importanti per Licini già negli anni Dieci – erano stati in qualche modo colpiti dalle idee dello scrittore francese.

Il “primordialismo” di Schuré era cosa diversa dal nostalgico “passatismo” e quindi veniva apprezzato anche in certi ambienti futuristi.

In un libro del 1912 – L’évolution divine. Du Sphinx au Christ – Schuré sostenne l’esistenza di “una saggezza primordiale, trascendente, eterna, nella quale risiede la pienezza della conoscenza” (4); l’autore si soffermò anche sull’avvenimento primordiale della caduta di Lucifero, “l’arcangelo ribelle” che, cadendo, “smarrì una pietra preziosa che brillava come una stella sulla sua corona” (5).

Credo che il “primordialismo” di Schuré avesse in qualche modo ispirato il Licini dei Soldati italiani, un dipinto del 1917 che, a mio avviso, sarebbe proprio la raffigurazione della caduta di Lucifero (6).

Il verde, che caratterizza l’opera sul piano cromatico, potrebbe essere un’allusione al colore dello smeraldo che Lucifero perse nella sua caduta dal cielo, una pietra che, dopo essere stata intagliata, sarebbe divenuta, secondo alcune tradizioni, il Santo Graal (cioè il calice nel quale fu raccolto il sangue di Cristo) (7).

Questo dipinto del 1917, con il suo seppur indiretto riferimento al tema del Graal, sembra già dimostrare un interesse di Licini per il tema del primordiale e della spiritualità.

Alcuni anni dopo, nel 1927, uscì in Italia Il Re del Mondo di René Guénon (8).

Nel libro l’autore sostenne l’esistenza di una “tradizione sacra, di origine ’non umana’ (apaurushêya), per mezzo della quale la Sapienza primordiale si comunica attraverso le epoche a coloro che sono in grado di riceverla” (9).

Egli riteneva che la tradizione primordiale fosse nascosta (non perduta) e che per poterla ricevere occorresse intraprendere un percorso di ricerca interiore.

Secondo Guénon “colui che possiede integralmente la ‘tradizione primordiale’, che è giunto al grado di conoscenza effettiva che tale possesso implica essenzialmente, è, di fatto, proprio per questo reintegrato nella pienezza dello ‘stato primordiale’. A queste due cose, ‘stato primordiale’ e ‘tradizione primordiale’, si riferisce il doppio senso che è inerente alla parola Graal, perché, a causa di una di quelle assimilazioni verbali che nel simbolismo hanno spesso un ruolo non indifferente, e che hanno per altro ragioni molto più profonde di quanto si immaginerebbe a prima vista, il Graal è insieme un vaso (grasale) e un libro (gradale o graduale); quest’ultimo aspetto designa chiaramente la tradizione, mentre l’altro concerne più direttamente lo stato primordiale” (10).

Possedere il Graal, per Guénon, vuol dire reintegrarsi nello “stato primordiale” e quindi avere il “senso dell’eternità” (11).

Tutto ciò deve essere naturalmente inteso in senso simbolico: la ricerca del Graal non significa cercare materialmente un calice, ma vuol dire cercare continuamente un perfezionamento interiore, una elevazione spirituale. Significa trascendersi.

Nel 1927, proprio lo stesso anno di pubblicazione de Il Re del Mondo, Licini dipinse il Paesaggio fantastico (12): nell’opera (nota anche come Il capro) un animale dalle corna lunate fissa immobile l’orizzonte che è occupato da una montagna.

Questa immagine, primordiale e misteriosa, mi ricorda, per certi aspetti, un simbolo che Guénon, ne Il Re del Mondo, collega proprio alla leggenda del Graal: si tratta del Montsalvat (o monte della Salvezza), il luogo dove, secondo il Parzival di Wolfram von Eschenbach (13), sarebbe stato conservato il Graal.

Emanuele Trevi, a proposito di questo Paesaggio fantastico di Licini, ha scritto che “…il capro è totalmente assorto nella contemplazione della montagna: non si sa se ne ammira la forma oppure se, sollecitato da più segrete vibrazioni, accessibili solo agli animali, ne ascolta il suono. Una cosa è certa: se potessimo guardare la montagna come fa il capro, se potessimo decifrare la sua preghiera solitaria, molti misteri del mondo non sarebbero più tali per noi, e molte cose che riteniamo normali diventerebbero a loro volta un mistero” (14).

In un’ottica “guénoniana” si potrebbe ipotizzare che la montagna del Paesaggio fantastico, così lontana e inaccessibile, “custodisca” il mistero della “tradizione primordiale”: forse Licini la dipinse proprio dopo avere letto Il Re del Mondo.

 

La pietra filosofale

 

Secondo gli alchimisti la pietra filosofale ha, tra le sue proprietà, quella di trasmutare un metallo vile in oro.

Questa capacità di trasmutazione deve peraltro essere intesa soprattutto in senso simbolico, cioè come continua ricerca di un perfezionamento interiore, di una elevazione spirituale; da questo punto di vista la pietra filosofale ha un significato analogo a quello del Graal.

Ebbene, nel 1932 Licini realizzò il dipinto intitolato Un uccello che, come scrisse, “risulta dal calcolato incontro di tre triangoli (bianco rosso nero) su una stessa direttrice” (15): questi colori sono gli stessi delle tre fasi – Nigredo (nero), Albedo (bianco) e Rubedo (rosso) – nelle quali si articola il procedimento alchemico per ottenere la pietra filosofale e per trasmutare la materia vile in oro.

D’altra parte in alchimia la Nigredo è simboleggiata dal corvo, l’Albedo dal cigno e la Rubedo dalla fenice: si tratta, quindi, di uccelli e il titolo di questo dipinto è, per l’appunto, Un uccello.

Nello stesso anno Licini dipinse il Notturno n. 2. In questa opera compaiono vari elementi tra i quali un animale (molto probabilmente una salamandra), un quadrato, i segni più/meno e uno strano astro (che sembra luna e sole allo stesso tempo).

Credo che anche questo dipinto alluda al tema della pietra filosofale.

La salamandra, non a caso, veniva impiegata dagli alchimisti nel procedimento di trasmutazione della materia; inoltre l’ottenimento della pietra filosofale (la quale, nel Notturno n. 2, potrebbe essere rappresentata dal quadrato) coincide, secondo gli alchimisti, con il ricongiungimento degli opposti (come, per l’appunto, le coppie più/meno e sole/luna raffigurate nel dipinto).

In definitiva la lettura in chiave “alchemica” e simbolica di queste due opere del 1932 (16) (trasmutazione della materia intesa nel senso simbolico di perfezionamento interiore) sembra confermare la forte esigenza avvertita da Licini di elevarsi spiritualmente, di trascendersi.

 

Ima

 

Licini, che sin dagli anni Dieci si era interessato al tema del primordiale, trovò negli anni Trenta, in Franco Ciliberti (17), un fondamentale interlocutore sull’argomento. Ciliberti, teosofo e studioso di filosofie orientali, fu infatti tra i promotori della rivista Valori Primordiali (della rivista uscì soltanto un numero, quello del febbraio del 1938).

In una lettera a Ciliberti del primo febbraio 1941 (18) Licini scrisse: “ti scrivo dalle viscere della terra, la ‘regione delle Madri’ forse, dove sono disceso per conservare incolumi alcuni valori immateriali, non convertibili, certo, che appartengono al dominio dello spirito umano. In questa profondità ancora verde, la landa dell’originario forse, io cercherò di recuperare il segreto primitivo del nostro significato nel cosmo”.

Queste parole di atmosfera così primordiale – che a loro volta richiamano alcune espressioni usate da Ciliberti nell’unico numero della rivista Valori Primordiali (19) – offrono, secondo me, una chiave di lettura de Il milionario (20), un dipinto realizzato da Licini nel 1938.

Nell’opera sono visibili lettere (i, m, a che, lette verticalmente, formano la parola ima) e numeri (5, 3, 6, 2 e 8).

La parola ima può contemporaneamente alludere alla profondità (dal latino imus) e alla madre (in ebraico il termine ima assume, infatti, quest’ultimo significato).

Guénon riferisce che, sul piano simbolico tradizionale, i numeri 2 e 5 rappresentano la terra, mentre il 3 e il 6 rappresentano il cielo: in tal senso le coppie 5/3 e 6/2 avrebbero il significato di terra/cielo e cielo/terra (21).

Osservando il dipinto, la parte a sinistra (su fondo bianco) potrebbe rappresentare la terra, quella a destra (su un fondo nero “cosmico” rischiarato dalla presenza, forse, di un astro) il cielo.

Il numero 8 rimanda alla figura geometrica dell’ottagono la quale, a sua volta, appare visivamente intermedia tra il quadrato e il cerchio (22).

Poiché “le forme quadrate o cubiche si riferiscono alla terra e le forme circolari o sferiche al cielo” (23), l’ottagono (che è intermedio tra il quadrato e il cerchio), può essere considerato come il simbolo di una transizione, di un percorso, tra la terra e il cielo (24).

Ebbene, le “viscere della terra”, la “regione delle ‘Madri’”, la “profondità ancora verde” delle quali scrisse Licini nel 1941, parrebbero rappresentate, nel dipinto, dalla parola ima – che, appunto, allude alla profondità e, in ebraico, alla madre (25) – e dai numeri 2 e 5 (numeri che rappresentano la terra).

Una profondità che deve peraltro essere intesa sul piano simbolico, cioè come profondità interiore.

Il riferimento al cercare “di recuperare il segreto primitivo del nostro significato nel cosmo” rimanda all’idea di una ricerca spirituale e quindi, metaforicamente, a un percorso, a una transizione (richiamata dal numero 8) tra la terra e il cielo (quest’ultimo rappresentato, sul piano numerico, dal 3 e dal 6).

In definitiva credo che Licini, anche con questo dipinto, avesse voluto alludere alla speranza di trascendersi.

 

Vascello, falce lunare, fiore, cuore

 

Mi sono chiesto se esista un filo conduttore per collegare tra loro il vascello, la falce lunare, il fiore, il cuore, elementi tanto diversi quanto frequenti nelle opere di Licini.

Anche in questo caso una risposta può forse venire da Guénon.

Nel corso della prima metà degli anni Quaranta Licini inventò un nuovo tema della sua arte, l’Olandese volante.

E’ evidente il riferimento al protagonista della leggenda nordica e all’omonima opera wagneriana (quest’ultima è nota anche come Il vascello fantasma).

Secondo la leggenda, un capitano olandese, che salpò nonostante il divieto divino, fu condannato a navigare con il suo vascello fino al giorno del giudizio universale.

Si tratta, quindi, della figura di un ribelle, di un eretico (26).

Uno degli elementi che caratterizzano la raffigurazione dell’Olandese volante nelle opere di Licini è la falce lunare.

Ebbene, Guénon, ne Il Re del Mondo, afferma che “vi è una sorta di equivalenza simbolica tra la falce lunare, la coppa e la nave, e che la parola ‘vascello’ serve a designare queste ultime due (il ‘Santo Vascello’ è una delle denominazioni abituali del Graal nel medioevo)” (27).

In sostanza, anche le opere di Licini che hanno per tema l’Olandese volante conterrebbero, secondo questa simbologia tradizionale, un riferimento al Graal.

La falce lunare, d’altra parte, è spesso presente nelle opere dell’artista. L’Amalassunta, ad esempio, assume talvolta questa forma; la falce lunare è inoltre presente in molte altre opere di tema completamente diverso (come, ad esempio, nel Crepuscolo della sera e negli Angeli primo amore).

Anche in tali casi, secondo questa simbologia che associa la coppa (il calice) alla falce lunare, è allora ipotizzabile un riferimento al Graal.

Un ulteriore tema dell’arte di Licini è stato quello del Fiore fantastico.

Guénon riferisce che “un altro simbolo che equivale frequentemente a quello della coppa, è un simbolo floreale: il fiore, infatti, non evoca forse con la sua forma l’idea di un ‘ricettacolo’, e non si parla del ‘calice’ di un fiore?” (28).

Anche nel Fiore fantastico di Licini si potrebbe quindi rinvenire un riferimento al Graal.

Infine il cuore che, talvolta, appare raffigurato nelle opere di Licini (29).

Per Guénon anche il cuore, al pari di un triangolo dalla punta rivolta verso il basso, evoca la forma della coppa e, in questo senso, rimanda al Graal (30).

In conclusione, penso che il primordialismo di Licini sia consistito soprattutto nella continua ricerca, partendo dal profondo dell’interiorità, di quella “tradizione primordiale” – simboleggiata dal Graal – che, secondo Guénon, è nascosta (ma non perduta); una tradizione primordiale che, peraltro, soltanto alcuni possono sperare di raggiungere seguendo un difficile percorso di crescita spirituale.

Cercare di “recuperare il segreto primitivo del nostro significato nel cosmo” (31) potrebbe dunque significare elevarsi spiritualmente per essere reintegrati “nella pienezza dello stato primordiale” (32).

Come scrisse Licini “vivere, allora, andare al di là di noi stessi, trascendersi. Ecco perché ancora viviamo, con questa speranza” (33).

Ma forse è soltanto una speranza, niente di più, dal momento che “chi cerca suole mai trovare certezza” (34).

 

Lorenzo Licini

 

 

 

 

 

* Questo studio deve molto al confronto di idee che, sull’argomento, ho avuto con mia madre Silvia; a lei va il mio ringraziamento.

(1) Non si conosce l’intera consistenza della biblioteca appartenuta a Licini; di Édouard Schuré, comunque, erano presenti almeno due libri:

– Édouard Schuré, Les Prophetès de la Renaissance, Librairie académique Perrin et C., Paris, 1926;

– Édouard Schuré, Le rêve d’une vie Confession d’un poète, Librairie académique Perrin et C., Paris, 1928.

(2) Il libro di Édouard Schuré intitolato Les Grands Initiés, esquisse de l’histoire secrète des religions, pubblicato in Francia nel 1889, ebbe una vasta eco anche in Italia. Filippo Tommaso Marinetti, a quanto si dice, ne fu particolarmente colpito (si legga, a tale riguardo, Simona Cigliana, Futurismo esoterico Contributi per una storia dell’irrazionalismo italiano tra Otto e Novecento, Liguori Editore, Napoli, 2002, pag. 181).

(3) Lo stesso Dino Campana fu in qualche modo influenzato dalla lettura del libro Les Grands Initiés, esquisse de l’histoire secrète des religions; il riferimento a Orfeo inserito da Campana nel titolo della sua raccolta di poesie e prose Canti Orfici (pubblicata nel 1914) rimanderebbe proprio a un capitolo, dedicato a questo personaggio della mitologia greca, all’interno del libro di Schuré: secondo Alberto Asor Rosa “per quanto riguarda l’orfismo è d’obbligo la citazione del capitolo V, Orphée (Les mysterès de Dionysos), dei Grands initiés. Esquisse de l’histoire secrète des religions, di Édouard Schuré, che Campana poteva aver letto in una qualsiasi delle numerose edizioni francesi del tempo, seguite alla prima del 1889. Tutti sanno, peraltro, che il libro di Schuré contribuì a volgarizzare, anche presso masse abbastanza vaste di pubblico, una riscoperta del mondo religioso primitivo e dei primordi della civiltà ellenistica, che nella Nascita della tragedia (1874) di Nietzsche aveva trovato uno dei suoi capisaldi” (così Alberto Asor Rosa in Canti Orfici di Dino Campana, Letteratura Italiana. Le Opere, Direzione Alberto Asor Rosa, Volume quarto. Il Novecento I. L’età della crisi, Giulio Einaudi editore, Torino, 1995, pag. 355).

Tra il 1912 e il 1913 il poeta Dino Campana fu, per alcuni mesi, a Bologna (si legga, a tale riguardo, Antonio Castronuovo, Campanone alle Due Torri, in Mario Bejor, Dino Campana a Bologna 1911 – 1916, a cura di Antonio Castronuovo, Lit Edizioni Srl, Roma, I edizione digitale settembre 2018). Qui, nello stesso periodo, si trovava anche Licini all’epoca studente presso l’Accademia di Belle Arti: è molto probabile che Campana e Licini si conoscessero personalmente. Di recente ho potuto leggere una preziosa testimonianza (del 1975) dello scrittore Riccardo Bacchelli sulla Bologna degli anni Dieci: “noi giovani di allora … stavamo molto al caffè San Pietro in via Indipendenza. Fra i miei amici c’erano Bino Binazzi, Giorgio Morandi, Dino Campana, Giuseppe Raimondi, Osvaldo Licini, Severo Pozzati (Sepo) scultore allora, poi pittore e cartonista celebre. Discutevamo a lungo e ognuno di noi voleva rifare il mondo a modo proprio” (da Tino Dalla Valle, Innamorato della letteratura Riccardo Bacchelli tradì il giornalismo, in il Resto del Carlino 1885 – 1975, supplemento a il Resto del Carlino n. 110, Bologna, 14 maggio 1975, pag. 19).

Dopo l’estate del 1914 Licini si trasferì a Firenze, per completare i suoi studi, e qui iniziò a frequentare l’ambiente dei futuristi della rivista Lacerba; Campana, in questo periodo, si trovava nel capoluogo toscano (spesso al caffè Giubbe Rosse), dove diffondeva le copie dei suoi Canti Orfici da poco pubblicati. E’ quindi probabile che Campana e Licini avessero avuto occasione di incontrarsi anche a Firenze.

Licini amava moltissimo i Canti Orfici (ne sapeva anche alcune parti a memoria) e a Parigi, nel 1917, li fece conoscere ad Amedeo Modigliani (si veda, a tale riguardo, Osvaldo Licini, Ricordo di Modigliani, in L’Orto, anno IV n. 1, Bologna, gennaio-febbraio 1934).

(4) Édouard Schuré, Evoluzione divina Dagli antichi ai nuovi misteri, Saggio introduttivo e traduzione di Gabriele Burrini, Tilopa, Roma, 1993, pag. 8.

(5) Édouard Schuré, Evoluzione divina Dagli antichi ai nuovi misteri, cit, pag. 305.

(6) Ho illustrato questa proposta di interpretazione in I Soldati italiani, la caduta di Lucifero e Dante, un mio scritto pubblicato nel 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it.

(7) Il primo gennaio 1914 si tenne al Teatro Comunale di Bologna la prima rappresentazione italiana del Parsifal, un dramma musicale di Richard Wagner che ruota intorno al tema del Graal; l’evento suscitò un notevole scalpore.

Non si sa se Licini, che all’epoca abitava a Bologna, fosse stato presente alla rappresentazione; appare, tuttavia, ragionevole ipotizzare che l’evento avesse comunque destato l’interesse dell’artista, anche per il tema affrontato.

Aggiungo che lo stesso Schuré era stato amico di Wagner e, tra l’altro, aveva scritto un libro intitolato Richard Wagner, son oeuvre et son idée.

(8) Il libro fu pubblicato in Francia, nello stesso anno, con il titolo Le Roi du Monde. La prima edizione italiana venne tradotta da Arturo Reghini il quale, nel decennio precedente, era stato anche un brillante sostenitore, a Firenze, del gruppo dei futuristi della rivista Lacerba (si legga, a tale riguardo, Simona Cigliana, Futurismo esoterico Contributi per una storia dell’irrazionalismo italiano tra Otto e Novecento, cit., pag. 53); è probabile che Licini, frequentatore dello stesso gruppo, avesse conosciuto Reghini.

(9) René Guénon, Il re del Mondo, traduzione di Bianca Candian, Adelphi, Milano, 1977, pag. 17 – 18.

(10) René Guénon, Il Re del Mondo, cit., pag. 52.

(11) “…il possesso del ‘senso dell’eternità’ è legato a quello che tutte le tradizioni chiamano … lo ‘stato primordiale’”: così René Guénon, Il Re del Mondo, cit., pag. 49.

(12) L’opera è stata recentemente riprodotta nel catalogo della mostra a cura di Luca Massimo Barbero Osvaldo Licini Che un vento di follia totale mi sollevi, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia, 22 settembre 2018 – 14 gennaio 2019, Marsilio, Venezia, 2018, pag. 63.

(13) Il Parzival è un romanzo cavalleresco che fu scritto da Wolfram von Eschenbach intorno al 1200.

“Vi è poi un simbolo che si collega a un altro aspetto della leggenda del Graal, e merita un’attenzione speciale: quello del Montsalvat (letteralmente ‘Monte della salvezza’)…” così scrisse René Guénon ne Il Re del Mondo, cit. pag. 53.

(14) Emanuele Trevi, Il capro contempla il picco e decifra i misteri del mondo, in Sguardi Il cartellone della montagna, La Lettura, supplemento de Il Corriere della sera, RCS MediaGroup, Milano, 28 luglio 2019, pag. 47.

(15) Così scrisse Licini in una lettera a Giovanni Scheiwiller del 5 gennaio 1933 (la lettera si può trovare anche in Osvaldo Licini Errante, erotico, eretico Gli scritti letterari e tutte le lettere raccolti da Zeno Birolli, a cura di Gino Baratta Francesco Bartoli Zeno Birolli, Feltrinelli Editore Milano, 1974, pag. 136).

Anche ne Il bilico del 1932, ad esempio, sono presenti tre triangoli (uno bianco, uno rosso e un altro nero).

(16) Più o meno nello stesso periodo Carl Gustav Jung si interessava all’alchimia dal punto di vista della psicologia.

(17) La prima lettera che documenta l’esistenza di un rapporto epistolare tra Licini e Franco Ciliberti (1906-1946) risale al 22 novembre 1938 (la lettera si può trovare anche in Osvaldo Licini Errante, erotico, eretico Gli scritti letterari e tutte le lettere, cit., pag. 161).

(18) La lettera si può trovare anche in Osvaldo Licini Errante, erotico, eretico Gli scritti letterari e tutte le lettere, cit., pag. 161.

(19) Valori Primordiali, volume primo, febbraio 1938, Edizioni Augustea, Roma Milano, febbraio 1938: a pag. 25 della rivista apparve uno scritto di Franco Ciliberti intitolato “Sul primordiale” dove si parlava, tra l’altro, di “profondo”, di “regione delle Madri”, di “landa dell’originario” e di “imo”.

(20) L’opera è stata recentemente riprodotta nel catalogo della mostra a cura di Luca Massimo Barbero, Osvaldo Licini Che un vento di follia totale mi sollevi, cit., a pag. 127.

(21) René Guénon, La Grande Triade, traduzione di Francesco Zambon, Adelphi Edizioni, Milano, 1980, pag. 76.

(22) La forma dell’ottagono è “…in qualche modo intermedia fra il quadrato e il cerchio” … “Dal punto di vista geometrico, la forma ottagonale è realmente più vicina al cerchio che al quadrato, poiché un poligono regolare si avvicina tanto più al cerchio quanto maggiore è il numero dei suoi lati”: così René Guénon in Simboli della Scienza sacra, traduzione di Francesco Zambon, Adelphi Edizioni, Milano, 1975, pag. 234.

(23) René Guénon, Simboli della Scienza sacra, cit., pag. 234.

(24) René Guénon, Simboli della Scienza sacra, cit., pag. 236 osserva che “nel cristianesimo, i battisteri antichi avevano forma ottagonale e, sebbene tale simbolismo sia stato dimenticato o almeno trascurato a partire dall’epoca del Rinascimento, questa forma si ritrova in genere ancora oggi nella vasca dei fonti battesimali. Anche qui si tratta con tutta evidenza di un luogo di passaggio o di transizione”.

(25) Il termine ebraico ima assume una rilevanza anche in ambito cabalistico.

(26) L’Olandese volante si inserisce tra le figure di ribelli ai quali si interessò (il ribelle) Licini: ad esempio si pensi al Bruto che, probabilmente, è il protagonista del dipinto del 1919 noto come Arcangelo Gabriele (ho ipotizzato trattarsi di Bruto in Arcangelo Gabriele o Bruto? un mio scritto pubblicato nel 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it); oppure si pensi al Lucifero che precipita dal cielo raffigurato nei Soldati italiani del 1917.

(27) René Guénon, Il Re del Mondo, cit., pag. 106, nota 15.

(28) René Guénon, Simboli della Scienza sacra, cit., pag. 30.

(29) Si veda, ad esempio, l’Angelo ribelle con cuore rosso del 1953 recentemente riprodotto sul catalogo della mostra a cura di Luca Massimo Barbero, Osvaldo Licini Che un vento di follia totale mi sollevi, cit., alle pagg. 172–173.

(30) In tal senso si legga René Guénon, Simboli della Scienza sacra, cit., pag. 25 e pag. 29.

(31) Frase all’interno della citata lettera di Osvaldo Licini a Franco Ciliberti del primo febbraio 1941.

(32) René Guénon, Il Re del Mondo, cit., pag. 52.

(33) Lettera di Osvaldo Licini a Giuseppe Marchiori del 24 marzo 1943 (la lettera si può trovare anche in Osvaldo Licini Errante, erotico eretico Gli scritti letterari e tutte le lettere, cit., pagg. 147-148).

(34) Con queste parole si apre una poesia di Osvaldo Licini, senza titolo e senza data, che si può leggere anche nel catalogo della mostra a cura di Luca Massimo Barbero, Osvaldo Licini Che un vento di follia totale mi sollevi, cit., a pag. 17.