31 Dicembre 2019

Amalassunta, l’Angelo di Santa Rosa e la “regione delle Madri”

Tempo fa ho saputo che il cognome Licini deriverebbe dal latino “licinus”(1) che significa “dalle corna rivolte verso l’alto” e lunate, come quelle del toro (2).

René Guénon scrisse “che le corna, nel loro uso simbolico, assumono due forme principali: quella delle corna di ariete, che è propriamente ‘solare’, e quella delle corna di toro, che è al contrario ‘lunare’, richiamando d’altronde la forma stessa della mezzaluna” (3).

 

Credo che Licini fosse venuto a conoscenza di questa etimologia e di questo simbolismo e che, in qualche modo, fosse stato influenzato dal sapere di “avere la luna” nel proprio nome.

Non a caso la presenza della luna è frequentissima nelle sue opere.

Si pensi, ad esempio, all’Arcangelo Gabriele del 1919 – che in realtà, più probabilmente, è una raffigurazione del Bruto Minore di Leopardi (4) – nel quale una luna indifferente assiste a un suicidio; oppure, sempre ad esempio, si pensi all’Olandese volante azzurra del 1944 (dove è presente una falce lunare) e a tutte le opere nelle quali appare Amalassunta che, per Licini, è “la Luna nostra bella” (5).

 

 

                 Amalassunta e l’isola “licina”

 

 

L’artista non chiarì il motivo della scelta di quel nome così particolare, Amalassunta; in un’intervista del 1958 disse però di essere stato colpito, sin dall’infanzia, dal nome di “una certa principessa di Ravenna morta assai giovane” (“nella mia fantasia infantile accoppiai questa figura di sogno con la dea della notte che percorre il cielo torno torno…”) (6).

Si trattava di Amalasunta – in questo caso con una esse soltanto (7) – regina degli Ostrogoti, che visse tra il quinto e il sesto secolo; fu poi detronizzata e imprigionata nell’isola Martana, sul lago di Bolsena, dove venne assassinata.

 

Con sorpresa, tempo fa, ho potuto constatare che l’isola Martana, guardata dall’alto, ha la forma di una mezzaluna: in latino, quindi, avrebbe potuto essere definita “licina” (8).

 

Dunque i protagonisti di questa storia sono un’isola a forma di mezzaluna (dove morì la regina Amalasunta), l’aggettivo “licinus” (che descrive la forma di quell’isola), il cognome dell’artista (che, appunto, deriva dal latino “licinus”); e, come per chiudere il cerchio, Amalassunta che Licini, come detto, identifica, per l’appunto, con la luna.

 

E’ come se l’artista avesse avvertito un particolare legame con i luoghi dell’isola Martana, un legame dovuto anche a quell’aggettivo – licinus – che è all’origine del proprio cognome e che allo stesso tempo descrive la forma dell’isola di Amalasunta.

Studiando l’etimologia del cognome, Licini aveva probabilmente cercato di risalire alle proprie origini più remote, più “primordiali”; e, attraverso questa ricerca, era forse giunto a localizzare geograficamente la propria “regione delle Madri” (9).

 

 

                          Un cognome “etrusco”

 

 

Ho recentemente cercato di sapere qualcosa di più sull’etimologia del cognome Licini: ho così appreso che deriverebbe dalla traslitterazione latina dell’etrusco Lecne.

In particolare l’origine del cognome Licini sarebbe da mettere in relazione con la gens licinia romana; e, ancor prima, sarebbe da collegare alla famiglia etrusca dei Lecne.

Tra i primi Etruschi stabilitisi a Roma già diversi secoli prima della nascita di Cristo figurano proprio i Lecne: alcune iscrizioni etrusche del terzo e del secondo secolo a.C. si riferiscono a questa famiglia. Tali iscrizioni sarebbero provenienti, in particolare, da due aree geografiche: dalla zona senese (ager saenensis) e da quella di Bolsena (ager volsiniensis) (10).

Bolsena era anticamente chiamata Volsinii (alcune varianti del nome possono essere, ad esempio, Velsina o Vuisina) (11).

Proprio a una di queste varianti – Vuisina – si riferiscono alcune iscrizioni etrusche appartenute a una tomba dei Lecne nel senese: in alcune di tali iscrizioni si può leggere, infatti, “lecne vuisinal”, cioè Lecne figlio di madre Vuisina.

Poiché Vuisina significa Bolsena, appare evidente un collegamento tra il nome Licini (Lecne) e Bolsena; un collegamento confermato dal fatto che, come detto, il nome Lecne sarebbe stato presente anche in iscrizioni rinvenute proprio nell’area di Bolsena (ager volsiniensis).

 

 

 

                                

Osvaldo Licini, Angelo di Santa Rosa, 1957, olio e collage su tela, 56 X 68 cm (immagine tratta da Osvaldo Licini, Presentazione di Luigi Mallè, Catalogo di Zeno Birolli e Aldo Passoni, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino, 1968, foto XXVII)

 

                                  

 

L’Angelo di Santa Rosa e l’isola Bisentina

 

 

A prescindere, comunque, dalle considerazioni sull’origine del cognome Licini (nel duplice aspetto dell’aggettivo latino licinus e del nome etrusco Lecne), già l’osservazione dell’Angelo di Santa Rosa del 1957 consente di ipotizzare un collegamento del dipinto con l’area di Bolsena (12).

 

In effetti, l’angelo raffigurato nel dipinto assomiglia a una stella a tre punte e la sua forma ricorda molto quella dell’isola Bisentina (che, con la Martana, è l’altra isola del lago di Bolsena).

L’angelo, inoltre, è inserito all’interno di una sorta di ovale simile alla forma del lago.

La mezzaluna (di colore giallo) presente nel dipinto fa pensare, invece, all’isola Martana (l’isola della regina Amalasunta).

E’ poi presente un astro di colore rosso che probabilmente rappresenta il sole.

 

La cima del monte Tabor è il punto più alto dell’isola Bisentina: Tabor, in ebraico, significa ombelico o “centro del mondo” (13) e quindi allude a un’idea di profondità: secondo alcuni studiosi il luogo più sacro per gli Etruschi sarebbe stato in una cavità situata proprio all’interno del monte Tabor (in quella stessa cavità, molto tempo dopo, sarebbe stata realizzata una prigione destinata agli eretici, la cosiddetta Malta dei Papi) (14).

Licini scelse di dare al dipinto un fondo verde, un colore che aveva associato alla profondità nella lettera a Franco Ciliberti del primo febbraio 1941.

Nel dipinto il sole rosso è di fronte a una luna gialla: un alchemico incontro tra due opposti, sole e luna, che sembra ricordare la mistica unione raffigurata in Angeli primo amore del 1955 (15).

Nella stessa lettera a Ciliberti l’artista disse di essere disceso nella profondità ancora verde della “regione delle Madri” per cercare di recuperare il segreto primitivo del nostro significato nel cosmo.

L’alchemico incontro tra sole e luna, nel cielo sopra la profondità verde del monte Tabor, è forse il simbolo del raggiungimento di questo segreto; o forse è soltanto il simbolo della speranza di raggiungerlo.

 

Concludo con alcune parole che Giuseppe Marchiori scrisse a Licini nel 1939: “le nobilissime origini vi fanno ricco per naturale diritto di una esperienza millenaria. Voi venite dalla radice dei miti” (16).

 

Lorenzo Licini

 

 

 

 

 

 

(1) Mi permetto di menzionare, a tale proposito, La luna nel nome, un mio scritto pubblicato nel 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it.

(2) Gian Biagio Conte, Emilio Pianezzola, Giuliano Ranucci, Il dizionario della lingua latina, Le Monnier, Firenze, 2000, voce “licinus”, pag. 694.

(3) René Guénon, Simboli della Scienza sacra, traduzione di Francesco Zambon, Adelphi Edizioni, Milano, 1975, pag. 173.

(4) Si veda, a questo riguardo, Arcangelo Gabriele o Bruto?, un mio scritto pubblicato tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it.

(5) Lettera di Osvaldo Licini a Giuseppe Marchiori del 21 maggio 1950; il testo della lettera si può trovare in Osvaldo Licini Errante, erotico, eretico Gli scritti letterari e tutte le lettere raccolti da Zeno Birolli, a cura di Gino Baratta Francesco Bartoli Zeno Birolli, Feltrinelli Editore Milano, 1974, pag. 148.

(6) Tony P. Spiteris, Un grande artista è morto Il pittore del sogno Osvaldo Licini concede la sua ultima intervista al giornale Elefteria, Elefteria, 2 novembre 1958.

(7) L’aggiunta di una esse all’originario nome di Amalasunta rende possibile il duplice anagramma da me scoperto e consistente nei seguenti gruppi di parole: “La Musa Santa” e “Malus, Satana”; si rimanda, per un eventuale approfondimento sul tema, ai miei scritti intitolati Amalassunta, l’anagramma e Baudelaire  e La luna nel nome, entrambi pubblicati nel 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it.

(8) Si legga, a questo riguardo, il mio scritto intitolato Ipotesi per Amalassunta pubblicato nel 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it. Nello stesso scritto osservavo anche che, secondo un antico vocabolario (Vocabolario universale italiano, compilato a cura della Società Tipografica Tramater & C., Napoli, 1829, vol. I, pag. 233), il nome Amalasunta deriverebbe dal tedesco “himmel cielo, e scheint ci riluce: Rilucente come il cielo”; per altri, sempre in base allo stesso vocabolario, la derivazione sarebbe da “himmel, e da schein aspetto: Aspetto celeste”.

(9) Si può ipotizzare che Licini avesse iniziato a interessarsi al tema del “primordiale” già nel corso degli anni Dieci, forse in parte influenzato dalle idee dello scrittore francese Édouard Schuré (si veda, in questo senso, Una profondità ancora verde, un mio scritto pubblicato nel 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it).

In una lettera a Franco Ciliberti del primo febbraio 1941 Licini disse: “ti scrivo dalle viscere della terra, la ‘regione delle Madri’ forse, dove sono disceso per conservare incolumi alcuni valori immateriali, non convertibili, certo, che appartengono al dominio dello spirito umano. In questa profondità ancora verde, la landa dell’originario forse, io cercherò di recuperare il segreto primitivo del nostro significato nel cosmo”.

Queste parole richiamano alcune espressioni usate da Ciliberti nella rivista Valori Primordiali (Franco Ciliberti, Sul primordiale, in Valori Primordiali, volume primo, febbraio 1938, Edizioni Augustea, Roma Milano, febbraio 1938, pag. 25); la profondità alla quale allude Licini nella lettera va intesa nel senso simbolico di profondità interiore.

Il riferimento al cercare “di recuperare il segreto primitivo del nostro significato nel cosmo” rimanda all’idea di una ricerca interiore e quindi, metaforicamente, a un percorso di crescita spirituale.

(10) Si legga, a proposito del rapporto tra Lecne e Licini, Luciana Aigner Foresti, Momenti di aggregazione e momenti di disgregazione nei sistemi politici degli etruschi, in Atti del Convegno Identità e valori fattori di aggregazione e fattori di crisi nell’esperienza politica antica, Bergamo, 16-18 dicembre 1998, Università Cattolica del Sacro Cuore, Centro Culturale Nicolò Rezzara, a cura di Alberto Barzanò, Cinzia Bearzot, Franca Landucci, Luisa Prandi, Giuseppe Zecchini, Alle radici della casa comune europea, volume terzo, “L’Erma” di Bretschneider, Roma, 2001, pag. 120.

(11) Si legga, a questo riguardo, George Dennis, The Cities and Cemeteries of Etruria, Vol. II, John Murray, Londra, terza edizione, 1883, nota 4, pag. 20 (Classic Reprint Series, The Cities and Cemeteries of Etruria, Vol. 2 of 2, by George Dennis, Forgotten Books, Londra, 2015).

(12) Del resto anche il riferimento a Santa Rosa contenuto nel titolo “avvicina” il dipinto a questa area geografica: Santa Rosa è infatti la patrona di Viterbo, una città vicina a Bolsena.

(13) Si legga, a tale proposito, Claudio Lattanzi, Misteri, leggende e storia del lago di Bolsena, Intermedia Edizioni, Orvieto, stampato digitalmente nel gennaio 2016, pos. 1240.

(14) Si legga, a questo riguardo, Claudio Lattanzi, op. cit., pos. da 1231 a 1261.

(15) A proposito di una mia interpretazione in chiave alchemica del dipinto Angeli primo amore richiamo lo scritto intitolato Angeli primo amore pubblicato nel 2019 tra le notizie del sito osvaldolicini.it.

(16) Parole tratte dalla lettera di Giuseppe Marchiori a Osvaldo Licini del primo aprile 1939, pubblicata in Osvaldo Licini Errante, erotico, eretico Gli scritti letterari e tutte le lettere, cit., pagg. 212-213.