21 Maggio 2020

Amalassunta e la parola non detta

Se “…qualche anima curiosa dovesse rivolgersi proprio a Lei, critico d’arte senza macchia e senza paura, per sapere chi è questa misteriosa ‘Amalassunta’ di cui tanto ancora non si parla, risponda pure, a mio nome, senza ombra di dubbio, sorridendo, che Amalassunta è la Luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco”.

 

Così scrisse Osvaldo Licini nella lettera a Giuseppe Marchiori del 21 maggio 1950, settanta anni fa: pochi giorni dopo, alla XXV Biennale d’Arte di Venezia, l’artista avrebbe presentato al pubblico, per la prima volta, il personaggio dell’Amalassunta (1).

 

Licini non chiarì il motivo della scelta di quel nome così particolare per il suo personaggio; in un’intervista del 1958 disse però di essere stato colpito, sin dall’infanzia, dal nome di “una certa principessa di Ravenna morta assai giovane” (“nella mia fantasia infantile accoppiai questa figura di sogno con la dea della notte che percorre il cielo torno torno…”) (2): si trattava della regina ostrogota Amalasunta (il cui nome contiene una esse soltanto) che morì assassinata nell’isola Martana, sul lago di Bolsena.

 

Da questi “indizi” è partita la mia ricerca sul mistero di Amalassunta.

Un mistero che oggi è forse finalmente svelato.

 

“…Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto” (3): queste parole di Italo Calvino, riferite allo scrivere, credo siano riferibili anche all’arte di Licini.

 

 

L’anagramma

 

 

Da tempo, a proposito di Amalassunta, mi incuriosivano due elementi: l’espressione “personificata in poche parole” (contenuta nella stessa lettera a Marchiori) e la misteriosa aggiunta di una lettera esse al vero nome della regina ostrogota.

 

Licini scrisse che Amalassunta è personificata “in poche parole”; dunque non in una soltanto. Mi sono chiesto quali parole potessero essere.

 

Ho quindi ipotizzato che dall’anagramma di “Amalassunta” potessero derivare più termini di senso compiuto.

Anagrammando (4) il nome di Amalassunta, effettivamente, ho potuto scoprire i seguenti gruppi di parole:

 

– la Musa Santa;

– Malus, Satana.

 

Ebbene, termini come Musa, Santa, Malus (Male), Satana appaiono particolarmente vicini al mondo poetico di Charles Baudelaire.

Licini, sin da giovane, fu particolarmente affascinato dall’opera del poeta francese.

 

Baudelaire scrisse che “in ogni uomo ci sono, in ogni momento, due postulazioni simultanee, una verso Dio, l’altra verso Satana. L’invocazione a Dio, o spiritualità, è un desiderio di salire di grado; quella di Satana, o animalità, è una gioia di scendere” (5).

 

L’anagramma di Amalassunta, da cui derivano parole di significato così confliggente (il Bene insito ne “la Musa Santa” e il Male di “Malus, Satana”), appare particolarmente in sintonia con queste “due postulazioni simultanee” indicate dal poeta francese.

Ma Baudelaire scrisse anche che si può “estrarre la bellezza dal Male” (6): se allora si segue il procedimento inverso rispetto a quello seguito in precedenza e si effettua l’anagramma di “Malus, Satana”, si ottiene la parola Amalassunta (che è “la Luna nostra bella”); e, così facendo, è come se si estraesse la bellezza dal Male.

 

In definitiva credo che l’aggiunta di una lettera esse al vero nome della regina Amalasunta sia stata voluta da Licini proprio per rendere possibile questo duplice anagramma.

 

 

Licinus

 

 

Il cognome Licini dovrebbe derivare dal latino “licinus” che significa “dalle corna rivolte verso l’alto” (7) e lunate, come quelle del toro.

 

René Guénon scrisse “che le corna, nel loro uso simbolico, assumono due forme principali: quella delle corna di ariete, che è propriamente ‘solare’, e quella delle corna di toro, che è al contrario ‘lunare’, richiamando d’altronde la forma stessa della mezzaluna” (8).

 

Credo che Licini fosse venuto a conoscenza di questa etimologia e di questo simbolismo e che, in qualche modo, fosse stato influenzato dal sapere di “avere la luna” nel proprio nome (9).

Non a caso la presenza della luna è frequentissima nelle sue opere.

 

Tempo fa ho verificato con sorpresa che l’isola Martana (l’isola di Amalasunta), guardata dall’alto, ha proprio la forma di una mezzaluna (10).

 

In latino si sarebbe forse potuta definire “licina”.

 

 

L’isola della luna

 

 

Nell’antichità era diffusa la credenza che i laghi fossero luogo di incontro tra la terra (con la sua profondità) e il cielo; era come se un asse immaginario, attraversando il lago, potesse unire tra loro gli inferi, la terra e il cielo (11).

 

In questa ottica i laghi potevano essere considerati sacri; la loro acqua, fonte di vita, veniva associata al femminile, alla maternità ed era frequentemente collegata al culto della Grande Madre.

 

Gli Etruschi ritenevano che il lago di Bolsena fosse sacro (12).

 

Nel lago sono presenti due isole, la Martana e la Bisentina; sembra che gli Etruschi avessero individuato nella Bisentina la loro isola sacra e che, in particolare, avessero destinato quest’isola al culto del sole (13) (che ritenevano maschile) .

 

Se la Bisentina era dedicata al culto del sole, la Martana (anche per la sua forma particolare) veniva associata alla luna (che, per gli Etruschi, era femminile).

 

Nei secoli la Martana è stata legata a importanti figure di donne come, ad esempio, Santa Cristina e la stessa regina Amalasunta (14).

 

Ebbene, anche l’Amalassunta di Licini, come l’isola Martana, è strettamente legata alla luna (15) e al femminile.

 

 

La discesa

 

 

Secondo una leggenda, nel lago di Bolsena (e in pochi altri luoghi al mondo) si troverebbe uno dei punti di accesso a un regno sotterraneo (16) abitato da creature particolarmente sapienti.

 

Credo che Licini fosse venuto a conoscenza di questa leggenda e che, in qualche modo, ne fosse stato affascinato.

 

Naturalmente questo “regno” va inteso in senso simbolico e non materiale.

La discesa in questo regno sotterraneo è la metafora di un viaggio nella propria interiorità; un viaggio intrapreso allo scopo di elevarsi spiritualmente, di trascendersi.

 

E’ in fondo l’idea del “regno delle Madri” nel quale discende il Faust di Goethe.

 

Come scrisse Rudolf Steiner, “era chiaro per Goethe che questo regno delle Madri è quello in cui deve entrare l’essere umano quando riesce a risvegliare le forze spirituali sopite nella sua anima” (17).

 

E’ la stessa idea che, secondo me, ispirò queste parole scritte da Licini a Ciliberti nel 1941:

 

ti scrivo dalle viscere della terra, la “regione delle “Madri” forse, dove sono disceso per conservare incolumi alcuni valori immateriali, non convertibili, certo, che appartengono al dominio dello spirito umano. In questa profondità ancora verde, la landa dell’originario forse, io cercherò di recuperare il segreto primitivo del nostro significato nel cosmo” (18).

 

 

La caduta

 

 

Nel 1917 Licini dipinse i Soldati italiani, un’opera che, a mio avviso, è la raffigurazione della caduta di Lucifero, angelo ribelle.

Il verde, che caratterizza l’opera sul piano cromatico, potrebbe essere un’allusione al colore dello smeraldo che, secondo alcune tradizioni, Lucifero perse nella sua caduta dal cielo (19).

 

Anche l’Angelo ribelle su fondo giallo (20) del 1949 sembra una rappresentazione della caduta di Lucifero.

 

Si tratta di due opere dipinte a più di trent’anni di distanza l’una dall’altra: seppure stilisticamente assai diverse, appaiono rappresentare la stessa vicenda.

 

La caduta di Lucifero è in un certo senso assimilabile alla caduta di Sophia, l’eone femminile e ribelle.

 

Secondo una tradizione, Sophia si ribellò a Dio generando una discendenza da sola, senza il necessario contributo dell’eone maschile che a lei era stato destinato.

 

Per questa sua ribellione Sophia fu punita da Dio che, in un primo tempo, la allontanò dalla dimensione luminosa del Pleroma.

Sophia, con il suo atto di ribellione, generò il Demiurgo (Satana) e da quest’ultimo derivò un’umanità condannata a vivere nella materialità e nelle tenebre.

 

Tuttavia Sophia si pentì del suo gesto e fu riammessa nel Pleroma. Riuscì anche a infondere in ogni essere umano una parte di sé stessa, sotto forma di scintilla: questa rappresenta la Sapienza divina, la componente femminile di Dio che ognuno può cercare di risvegliare.

 

Risvegliandola, ogni essere umano può sollevarsi dalla materialità nella quale si trova costretto sin dalla nascita.

 

 

Amalassunta e la caduta dell’angelo ribelle

 

 

Sophia è la Madre: ha generato la materia, il Male (Satana), ma anche il Bene poiché ha instillato in ogni essere umano quella scintilla divina che è indispensabile per salvarlo.

 

Amalassunta è una personificazione di Sophia: ne è una conferma il duplice anagramma (“Malus, Satana” e “la Musa Santa”) che si ricava dal suo nome e che, appunto, esprime al tempo stesso l’idea di Male e di Bene.

 

La caduta dell’Angelo ribelle di Licini è una metafora della caduta della scintilla di Sophia nella materia.

 

Il suo inabissarsi nella profondità della terra è la rappresentazione simbolica dell’inabissarsi della scintilla nell’interiorità di ogni essere umano.

 

Lautréamont, un poeta particolarmente amato da Licini, parla di una “scintilla divina che è in noi” (21).

 

Licini, nella prima parte di una sua poesia, si rivolge alla propria anima dicendo: “Tutti gli angeli ribelli / guardano a te anima mia / a te bella signora silenziosa / A te bella signora quanto mai cara quanto mai fedele / che da lontani astri scivolando / qui sei bene venuta ad abitare senza timore…” (22): ebbene, questo scivolare dell’anima da lontani astri fa pensare proprio alla caduta della scintilla in ognuno di noi.

 

Quando l’essere umano riesce a risvegliare la scintilla/anima, questa viene liberata e, risalendo di astro in astro, torna finalmente alla Luce dalla quale era caduta.

 

 

La Musa Santa.

Dante, Cavalcanti, Petrarca, Solov’ëv

 

 

“La Musa Santa” rappresenta il Bene di Amalassunta; è la divina Sapienza, è la componente femminile di Dio.

E’ Sophia, la Dama celeste che, secondo alcune tradizioni, rappresenta il Graal (23).

 

Il 5 aprile 1932, in una lettera all’amico Felice Catalini, Licini scrisse: “sto maturando una mia idea, che ho e che dovrebbe concretarsi in un quadro: ‘Il mio sole’ ma che non ha niente a che fare né col sole né con la primavera” (24).

In una lettera del 21 novembre dello stesso anno all’amico Acruto Vitali, Licini disse di avere iniziato a scrivere un racconto intitolato La Sibilla definendo quest’ultima come “un simbolo, il pretesto a indagini di natura strettamente autobiografica, il motivo a esplorazioni e sondaggi dell’io” (25).

 

Ho cercato di trovare un possibile legame tra questi due titoli, “Il mio sole” e “La Sibilla”.

Come riconosciuto dallo stesso Licini, il sole del quadro non era un vero sole e la Sibilla del titolo del racconto era soltanto un simbolo, un pretesto.

 

Non ho potuto non pensare a Petrarca quando chiama Laura il “mio sole”.

 

Elémire Zolla, ne “L’amante invisibile”, ricorda che “nel Canzoniere (XC) Petrarca chiama la Dama uno spirito celeste e un vivente sole” (26); ricorda anche che la Dama viene chiamata Sole da Guinizelli e da Cavalcanti (27).

 

Nello stesso libro, Zolla colloca la Sibilla del Guerin Meschino o quella di Antoine de la Salle tra gli esempi di Dama celeste (28).

Dama celeste, quindi Sophia.

 

Ebbene, quando Licini, nel 1932, lavorava al quadro intitolato “Il mio sole” o scriveva “La Sibilla”, credo pensasse proprio alla Dama celeste, a Sophia.

Per quanto riguarda Cavalcanti mi pare significativo che, negli anni Cinquanta, Licini abbia voluto dedicargli un omaggio (29).

 

Anche la Beatrice di Dante è stata vista come Dama celeste, come una personificazione di Sophia; non credo sia un caso se Licini, quando espose per la prima volta l’Amalassunta (30), decise di esporre nove variazioni su questo tema.

Nove è proprio il numero che Dante associa a Beatrice.

 

Nel 1950 l’artista dipinse La grande amica (31), un’amalassunta di grandi dimensioni; un titolo che era in sintonia con la definizione di Amalassunta (“amica di ogni cuore un poco stanco”) data da Licini nella citata lettera a Marchiori del 21 maggio di quello stesso anno.

Un titolo che, in qualche modo, mi ha fatto pensare all’”Eterna Amica” di cui parla Vladimir Sergeevič Solov’ëv nel poema “Tre incontri”.

L’”Eterna Amica” alla quale si riferisce Solov’ëv è, per l’appunto, Sophia.

 

Anche il titolo di un’opera di Licini del 1953, Il filosofo (32), mi pare interessante soprattutto se letto dal punto di vista etimologico: il filosofo come “amico di Sophia”.

 

 

Marchiori scrisse: “Amalassunta è sorella di altre, e appartiene alla realtà di un firmamento poetico, in cui il pittore si perde, in una silenziosa contemplazione. Il volto di Amalassunta è una formula magica rappresentata da un numero da una lettera da una corona. O è soltanto una parola non detta?” (33).

 

Provo oggi a dare la mia risposta: quella parola non detta è Sophia.

 

Lorenzo Licini

 

 

 

* Questo studio è dedicato a mio padre Paolo del quale, il 25 maggio di quest’anno, ricorre il venticinquesimo anniversario della scomparsa.

Lo studio deve molto al confronto d’idee che, sull’argomento, ho avuto con mia madre Silvia; a lei va il mio ringraziamento.

 

(1) Secondo Marchiori il prototipo di Amalassunta è rappresentato da Amalassunta luna del 1946. Si veda, in tal senso, Giuseppe Marchiori, I cieli segreti di Osvaldo Licini col catalogo generale delle opere, Alfieri, Venezia, 1968, pag. 27.

(2) Tony P. Spiteris, Un grande artista è morto Il pittore del sogno Osvaldo Licini concede la sua ultima intervista al giornale Elefteria, Elefteria, 2 novembre 1958.

(3) Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, La Biblioteca di Repubblica, Roma, 2002, pag. 165.

(4) L’esito della mia ricerca sull’anagramma della parola Amalassunta è stato pubblicato il 26 aprile 2019 nel testo intitolato Amalassunta, l’anagramma e Baudelaire inserito tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it.

(5) Il mio cuore messo a nudo XI – 19 in Charles Baudelaire, Il mio cuore messo a nudo, Razzi – Igiene – Titoli e spunti per romanzi e racconti, a cura di Diana Grange Fiori, Adelphi eBook, Milano, prima edizione digitale 2015.

(6) Progetti di prefazioni e di epilogo I. Prefazione dei “Fiori” in Charles Baudelaire, I Fiori del Male e tutte le poesie, I Fiori del Male, I relitti, Poesie diverse, Amœnitates belgicae, Frammenti, a cura di Massimo Colesanti, traduzione di Claudio Rendina, Newton Compton editori, Roma, quattordicesima edizione, maggio 2018, pag. 321.

(7) Gian Biagio Conte, Emilio Pianezzola, Giuliano Ranucci, Il dizionario della lingua latina, Le Monnier, Firenze, 2000, voce “licinus”, pag. 694.

(8) René Guénon, Simboli della Scienza sacra, traduzione di Francesco Zambon, Adelphi Edizioni, Milano, 1975, pag. 173.

(9) Si veda, sull’argomento, il mio scritto intitolato La luna nel nome, pubblicato il 19 luglio 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it.

Il cognome Licini è in qualche modo collegabile alla gens Licinia romana; e prima ancora, alla famiglia etrusca dei Lecne che sembra avesse un legame anche con l’area del lago di Bolsena (per ulteriori riferimenti su questo aspetto si veda il mio scritto intitolato Amalassunta, l’Angelo di Santa Rosa e la “regione delle “Madri” pubblicato il 31 dicembre 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it).

(10) Si veda il mio scritto intitolato Ipotesi per Amalassunta pubblicato il 22 marzo 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it.

(11) Si legga, in tal senso, Giovanni Feo, Il tempio perduto degli Etruschi, Edizioni Effigi, Arcidosso (GR), 2014, pag. 45.

(12) Si veda, a questo proposito, Giovanni Feo, Miti, segni e simboli etruschi, disegni di David De Carolis, Stampa Alternativa Nuovi Equilibri, Viterbo, 2003, pag. 15.

(13) Giovanni Feo, Miti, segni e simboli etruschi, cit. pagg. 15-16.

(14) Giovanni Feo, Miti, segni e simboli etruschi, cit., pag. 16.

(15) Sulla base di quanto si può leggere in un antico vocabolario (Vocabolario universale italiano, compilato a cura della Società Tipografica Tramater e C., Napoli, 1829, vol. 1, pag. 233) il nome Amalasunta deriverebbe dal tedesco “himmel cielo, e scheint ci riluce: Rilucente come il cielo”; per altri, sempre in base allo stesso vocabolario, la derivazione sarebbe da “himmel, e da schein aspetto: Aspetto celeste”. Ebbene, l’espressione “rilucente come il cielo” appare particolarmente in sintonia con le parole – “garantita d’argento per l’eternità” – che Licini usò per descrivere la luminosità della luna e, quindi, dell’Amalassunta (si veda, al riguardo, il mio scritto intitolato Ipotesi per Amalassunta, cit.).

(16) Sull’argomento si legga il paragrafo Etruschi ed Incas all’interno del capitolo L’enigma etrusco in Claudio Lattanzi, Misteri, leggende e storia del lago di Bolsena, Intermedia Edizioni, Orvieto, stampato digitalmente nel gennaio 2016.

(17) Da una conferenza di Rudolf Steiner del 29 aprile 1909 intitolata L’Iside egizia e la Madonna cristiana, in Rudolf Steiner, L’eterno femminile, Iside, Maria, Beatrice volti immortali dell’anima, Traduzione e prefazione di Pietro Archiati, Archiati Verlag e. K., Bad Liebenzell, 2007, pag. 33.

(18) Dalla lettera di Osvaldo Licini a Franco Ciliberti del primo febbraio 1941.

(19) Si veda il mio scritto intitolato I Soldati italiani, la caduta di Lucifero e Dante, pubblicato il 30 giugno 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it.

(20) L’opera è stata riprodotta anche sul catalogo della mostra a cura di Luca Massimo Barbero Osvaldo Licini Che un vento di follia totale mi sollevi, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia, 22 settembre 2018 – 14 gennaio 2019, Marsilio, Venezia, 2018, pag. 165.

(21) Isidore Ducasse Comte de Lautréamont, Canti di Maldoror Poesie Lettere, Introduzione, traduzione e note di Lanfranco Binni, Garzanti, Milano, 1990, prima edizione digitale 2011, pos. 712.

(22) Il testo della poesia si può trovare in Osvaldo Licini, Errante, erotico, eretico, Gli scritti letterari e tutte le lettere raccolti da Zeno Birolli, a cura di Gino Baratta, Francesco Bartoli, Zeno Birolli, Feltrinelli Editore, Milano, 1974, pag. 89.

(23) Per un mio approfondimento sul tema del rapporto tra Licini e il Graal si veda lo scritto intitolato Una profondità ancora verde, pubblicato il 24 agosto 2019 tra le notizie del sito internet osvaldolicini.it.

(24) Dalla lettera di Osvaldo Licini a Felice Catalini del 5 aprile 1932 pubblicata in Osvaldo Licini, Errante, erotico, eretico, Gli scritti letterari e tutte le lettere raccolti da Zeno Birolli, a cura di Gino Baratta, Francesco Bartoli, Zeno Birolli, cit., pag. 108.

(25) Dalla lettera di Osvaldo Licini ad Acruto Vitali del 21 novembre 1932 pubblicata in Osvaldo Licini, Errante, erotico, eretico, Gli scritti letterari e tutte le lettere raccolti da Zeno Birolli, a cura di Gino Baratta, Francesco Bartoli, Zeno Birolli, cit., pagg. 128 – 129.

(26) Elémire Zolla, L’amante invisibile L’erotica sciamanica nelle religioni, nella letteratura e nella legittimazione politica, Nota al testo di Grazia Marchianò, Marsilio, Venezia, 1986, pag. 114.

(27) Elémire Zolla, L’amante invisibile L’erotica sciamanica nelle religioni, nella letteratura e nella legittimazione politica, cit., pag. 108.

(28) Elémire Zolla, L’amante invisibile L’erotica sciamanica nelle religioni, nella letteratura e nella legittimazione politica, cit. pag. 81.

(29) L’opera Omaggio a Cavalcanti fu, tra l’altro, esposta nella mostra personale dedicata a Licini che si tenne a Ivrea, presso il Centro Culturale Olivetti, nel 1958 (nel catalogo, con prefazione di Giuseppe Marchiori, l’opera era datata 1956).

(30) Nel 1950, alla XXV Biennale d’Arte di Venezia.

(31) L’opera venne esposta anche nella mostra personale dedicata a Licini che si tenne a Ivrea, presso il Centro Culturale Olivetti, nel 1958 (il catalogo della mostra aveva la prefazione di Giuseppe Marchiori).

(32) L’opera Il filosofo si può trovare riprodotta anche nel catalogo della mostra Jean Arp Osvaldo Licini a cura di Guido Comis Bettina Della Casa, Museo d’Arte Città di Lugano, 13.04 – 20.07.2014, Skira Editore S.p.A., Milano, 2014, pag. 215.

(33) Giuseppe Marchiori, Catalogo della mostra Licini, Prefazione di Giuseppe Marchiori, Centro Culturale Olivetti, Ivrea, 1958, Quaderni d’arte del Centro Culturale Olivetti, Quarto quaderno d’arte a cura di Vanni Scheiwiller, Milano, 1958, pag. 26.